giovedì 27 marzo 2014

Ancora l’ortolano di Havel, ora a Mosca

L’Università d’élite MGIMO di Mosca, legata al Ministero degli Esteri, ha fatto parlare di sé per aver licenziato nei giorni scorsi un suo docente, lo storico Andrej Zubov che si è permesso di esprimere giudizi antigovernativi. Come risulta da questa pagina di Facebook, una sua collega ha ritenuto di non poter accettare questa ritorsione.

Dal profilo Facebook di E. Kolesnikova
Non lavoro più al MGIMO. Questa è la buona notizia.
Ed ecco la cattiva. Ho dovuto vedere oggi con i miei occhi quello che la gente della mia generazione conosce solo attraverso le memorie e/o i ricordi dei genitori e delle persone della loro generazione.
Sono arrivata molto prima dell’inizio della lezione per fare in tempo a consegnare la domanda di dimissioni. Il direttore l’ha firmata in silenzio. Dalla sua reazione ho capito che se l’aspettava. Avevo ancora un’ora e sono uscita. Quando sono tornata e sono passata in istituto per appendere il cappotto, al tavolo sedevano il direttore, la tecnica di laboratorio e due colleghe. Li ho salutati. Veramente ho salutato solo le due colleghe, perché il direttore e la tecnica li avevo già visti. Quelle non mi hanno risposto. Senza nessuna ostentazione, è vero. Se ne sono solo restate lì sedute così, come se non mi avessero né vista né sentita.

Una di queste lasciamola pure da parte: un anno fa l’ho beccata a plagiare, e ha quindi un buon motivo per non amarmi alla follia (anche se fino a ieri mi salutava). Ma la seconda era sempre stata cordiale; non tanto tempo fa aveva espresso il desiderio di avere il mio libro, glielo avevo portato, e mi aveva chiesto una dedica. Non mi piacciono queste cose e non sono capace di farle, ma le ho firmato il libro. Aveva detto: “Lo mostrerò ai miei nipoti”. Quello dei nipoti era uno scherzo, certo, lo capisco. Ma aveva voluto il mio libro. E mi aveva chiesto di firmarlo. Oggi taceva. E allora mi sono ricordata di qualcosa che conoscevo per averne letto: chi oltrepassa la linea diventa uno spirito incorporeo, un fantasma che nessuno vede. Non pensavo che io sarei diventata lo spettro.

Pensavo che avrei fatto fatica a fare quest’ultima lezione. Ma ce l’ho fatta. Penso che sia stata la mia migliore lezione di tutto il semestre. Alla fine ho salutato gli studenti e ho spiegato loro perché me ne andavo. Avrei potuto parlare con più calore a questi ragazzi, ma le parole mi si sono strozzate in gola. In pratica ho detto solo: me ne vado, è stato bello stare con voi. La classe dove faccio lezione è al quarto piano. Ero già scesa fino al terzo che stavano ancora applaudendo. Applaudivano ancora… non più a me, ma alla classe vuota.
E per la prima volta in tutto questo ultimo periodo, dopo l’occupazione dell’Ucraina, la festa per l’annessione, le questioni sul lavoro, il licenziamento di Zubov, la vergogna e lo scoramento, la nascita di un mondo nuovo e spaventoso nel quale non ci si può aspettare aiuto da nessuno, per la prima volta sono scoppiata a piangere. 

Ela Kolesnikova

martedì 25 marzo 2014

È immorale giudicare il governo?

Licenziare in tronco era roba da Unione Sovietica, oggi si usa un sistema più soft: si licenzia, si annulla, si licenzia di nuovo (e definitivamente).
Questa è stata la tortuosa trafila seguita dallo storico Andrej Zubov, professore all’università MGIMO di Mosca e studioso di religioni.
Il 1 marzo ha pubblicato un articolo dal titolo “Tutto questo c’è già stato” sul quotidiano “vedomosti.ru”,  dove analizzava la decisione del governo russo di intervenire in Crimea con l’esercito, tracciando un parallelo con l’Anschluss del 1938. Tre giorni dopo è stato licenziato la prima volta, ma un certo rumore negli ambienti internazionali (e la paura di aver fatto un autogol) ha indotto a sospendere il provvedimento; la moratoria però è durata solo qualche giorno. Il licenziamento definitivo è venuto il 24 marzo, con comunicazione ufficiale sul sito del MGIMO, per “comportamento immorale», non consono alle finalità educative dell’università.
Riportiamo una risposta incisiva rilasciata dal prof. Zubov nell’intervista al quotidiano “newtimes.ru”. 

Il suo licenziamento ricorda le persecuzioni dei tempi del potere sovietico, quando coloro che si permettevano di esprimere un parere mordace sull’operato del potere venivano licenziati...
Sì, si può paragonare all'Unione Sovietica, quando succedeva la stessa cosa, licenziavano senza tanti complimenti. Me lo ricordo perfettamente. Ma adesso la situazione è del tutto diversa: centinaia, migliaia di persone mi telefonano e mi scrivono. Allora invece tutti nascondevano la testa nella sabbia. Allora nessuno osava neanche esprimere una parola di sostegno. Perciò la società è completamente cambiata. Si può dire che io abbia deciso di espormi facendo un esperimento con me stesso, e mi sono convinto che siamo diventati un popolo diverso, e questo è molto bello. Significa che abbiamo delle prospettive enormi, e che non ci possono ricacciare nuovamente nel silenzio sovietico. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, a qualsiasi potere normale è indispensabile la critica, anche molto severa, in quanto può correggere il suo percorso, poiché sbagliare è proprio dell'uomo. Appunto ascoltando l'opinione di persone con una posizione diversa, è più facile trovare la via giusta e non commettere errori, talvolta drammatici. Perciò quando il potere comincia a tappare la bocca, e vuole solo essere lodato, siamo chiaramente di fronte a una malattia grave.

Se non io, chi? Vicissitudini di un deputato solitario

Il'ja Ponomarev
Il 20 marzo la Duma di Stato ha ratificato l'annessione della Crimea alla Federazione Russa e una legge sui nuovi soggetti della Federazione.
Risultato della votazione: 445 sì, 0 schede bianche, 1 no, 4 astenuti.
Il'ja Ponomarev, del partito “Spravedlivaja Rossija”, è stato l'unico deputato su 450 ad opporsi.
Il Partito Liberal-Democratico Russo avanzerà la formale richiesta di privare Il'ja Ponomarev del mandato parlamentare perché il suo voto, “è andato contro gli interessi dello Stato, facendo il gioco dei nazisti che vogliono spaccare il paese”. Il partito propone inoltre che “è necessario avvisare i deputati astenutisi dalla votazione, che la loro azione non è pienamente conforme al loro status politico”.
Il'ja Ponomarev nel suo blog spiega i motivi del proprio voto. Da una parte, da buon nazionalista, sostiene che “la Crimea è russa, e legittimamente dovrebbe essere parte della Federazione Russa”, dall’altra reputa la votazione nella Duma come “un grosso errore che può rivelarsi tragico per i popoli fratelli russo e ucraino, per tutta l'unità slava ma anche per l'intero sistema di rapporti mondiali”.
Ribadisce poi che “adesso il compito principale è quello di mantenere la pace e non permettere spargimenti di sangue, né che avvenga la frattura tra il popolo russo e quello ucraino, come sta per accadere a causa di gesti sconsiderati sia da parte russa che da parte ucraina”.
Ponomarev, ricordando il patto stretto da El'cyn con il governo di Kiev nel 1994, in cui la Russia rinunciava ad ogni pretesa territoriale sulla Crimea in cambio della rinuncia ucraina alle armi nucleari, afferma: “Mentre gli ucraini hanno rispettato la loro parte dell'accordo, noi abbiamo platealmente disatteso la nostra. Il nostro grande paese, che sull'arena internazionale si è sempre mostrato come difensore dei diritti e della giustizia, diventa un banale aggressore”.
Secondo il deputato sarebbe stato più ragionevole riconoscere l'indipendenza della Crimea attraverso una scelta giusta, libera e consapevole, senza fretta di ratificarne l'annessione alla Russia.
Ponomarev afferma coraggiosamente il motivo del suo voto: “Io non sono disposto a diventare un ingranaggio della macchina burocratica del governo russo, che scatena una guerra senza riflettere, nel suo asservimento poco lungimirante al potere, e a causa del quale è già stato versato del sangue in Crimea, e sicuramente ne verrà versato ancora”. Inoltre, con altrettanto coraggio riconosce che il sistema politico russo è malato, per cui moltissimi diplomatici, professionisti, funzionari negli organi di potere, pur ritenendo la votazione alla Duma affrettata e ingiusta, hanno avuto paura di esprimere la propria opinione.

giovedì 20 marzo 2014

Anche a Mosca si può ricominciare

Dopo gli eventi degli ultimi giorni, scrive Giovanna Parravicini, anche qui a Mosca siamo di fronte ad una sfida capitale: cedere al ricatto della divisione (in base a schieramenti politici, identità nazionali, convinzioni religiose, ecc.), o se non altro alla tentazione di rifugiarsi nel privato evitando di misurarsi con questioni così scabrose, oppure riproporre coraggiosamente a tutti la speranza che scaturisce dalla Pasqua a cui stiamo andando incontro. 
"Non lasciamoci rubare la speranza": l'appello che Papa Francesco ha lanciato al mondo in più occasioni sta sempre di più diventando un motivo conduttore in questa "altra Europa" che (se si può parlare del lato provvidenziale della storia) sta emergendo come un nuovo continente sconosciuto nelle vicende in Ucraina e in Russia. 

sabato 15 marzo 2014

Onufrij: Ciò che sta accadendo mette alla prova il nostro amore a Dio e al prossimo

In un’intervista esclusiva di Evgenij Murzin per la «Rivista del Patriarcato di Mosca», il metropolita Onufrij, locum tenens della cattedra di Kiev ha spiegato in cosa consiste la missione della Chiesa nella crisi attuale.

Secondo Lei qual è la missione della Chiesa nella difficile situazione che si è creata oggi in Ucraina?
La missione della Chiesa, a prescindere da dove si trovi e su quali terre si estenda la sua responsabilità canonica, è sempre stata la stessa in tutte le epoche. È la salvezza dell’anima umana. Allo stesso tempo esistono anche circostanze terrene e umane che la Chiesa non può ignorare. E qui il nostro compito consiste nell’insegnare il bene e nell’esortare alla pace. Dobbiamo aiutare le persone a capire che bisogna risolvere i problemi in modo pacifico, che non si deve offendere il prossimo, alzare le mani l’uno contro l’altro e tantomeno uccidere.

Tuttavia, benché la missione della Chiesa sia eterna e immutabile, la situazione politica influisce su ciò che accade al suo interno. Come può il cristiano che vive nella Chiesa conservare la pace dell’anima, mentre attorno a lui si scatenano le passioni politiche?
La situazione politica non influisce tanto sulla Chiesa come tale, quanto su una certa parte del popolo di Dio, compreso il clero. In questo senso la situazione politica, ahimè, può indurre in confusione l’anima dell’uomo, facendogli dimenticare lo scopo principale della vita cristiana, e mettere in secondo piano la missione eterna di cui si diceva. Quello che sta accadendo ora mette al vaglio il nostro amore a Dio e al prossimo. Che il Signore ci dia la forza di superare la prova degnamente! Persino in condizioni di instabilità politica non dobbiamo lasciare che il nostro servizio scada a pura politica. Perché quando la Chiesa diventa parte del sistema politico e vi confluisce, la sua vita finisce quando crolla il sistema politico di cui serve gli interessi. E nessun regime politico, essendo opera delle mani dell’uomo, è eterno. Per conservare la pace dell’anima bisogna pregare di più. Se il cristiano conserva il legame con Dio, troverà la giusta via d’uscita da qualsiasi situazione politica. Se invece questo legame si perde e l’uomo si stacca dalla Fonte della ragione e del buonsenso, allora i cambiamenti politici possono sopraffarlo e annientarlo. (…)

Il clero parrocchiale capisce quello che Lei ha appena detto?
Vorrei molto che lo capisse. Infatti oggi la Chiesa è, purtroppo, l’unico anello rimasto che unisce l’Oriente e l’Occidente e che mantiene l’unità nel paese. Ogni sacerdote sa che in Cristo le differenze etniche, sociali e altri tipi di differenze passano in secondo piano. Ogni persona per noi è immagine di Dio e va amata e rispettata. Ma un conto è sapere, un conto è mettere in pratica questo sapere nella vita.

Oggi nella società è molto vivo il tema del nazionalismo. Dove sta, secondo Lei, il confine tra nazionalismo e patriottismo?
A mio parere, il patriottismo - che si esprime nell’amore alla terra natia - si trasforma in nazionalismo non appena una persona comincia a imporre agli altri l’idea della propria esclusività nazionale. Non appena comincio a considerarmi migliore degli altri, a pretendere che gli altri accettino la mia concezione del mondo e si comportino come sembra giusto a me, io da patriota divento nazionalista. (…)

Secondo Lei, come devono svilupparsi i rapporti tra Russia e Ucraina?
Anche se non fossimo un solo popolo e non confessassimo la stessa fede, i nostri paesi dovrebbero trattarsi con stima e risolvere tutti i problemi nel reciproco rispetto. Dopotutto siamo vicini di casa, e i vicini devono andare d’accordo. Questa è la legge della vita. Ma siccome non siamo soltanto vicini, ma siamo di fatto un popolo con lo stesso sangue e la stessa fede, i rapporti tra i nostri paesi devono essere fraterni, benevoli e pacifici. Il mio più grande desiderio come metropolita che deve obbedienza alla Chiesa ortodossa ucraina è che la Russia faccia tutto il possibile per mantenere l’integrità territoriale dell’Ucraina. In caso contrario sul corpo della nostra unità comparirà una ferita sanguinante molto difficile da guarire, che inciderà in modo doloroso sulla nostra comunione e sui rapporti tra le persone.
 

 

La Marcia della pace a Mosca

venerdì 14 marzo 2014

Persino la Bielorussia ha dei dubbi

Dmitry Tymchuk, direttore del Centro di Ricerca politico-militare in Ucraina, ha pubblicato queste righe sulla sua pagina Facebook

La Bielorussia cambia la propria posizione nella guerra mediatica tra Russia e Ucraina.
Le nostri fonti in Bielorussia, che monitorano lo spazio mediatico di questo paese, notano delle metamorfosi interessanti. Riportiamo il frammento di un testo inviato al gruppo “Resistenza Informativa”:

«Negli ultimi giorni la situazione dei mass medie bielorussi è molto interessante. Naturalmente gli oppositori di Lukašenko sono dalla parte dell’Ucraina. Ma si vede che gli ultimi avvenimenti hanno spaventato anche il nostro “Baffone”. Sono successi alcuni fatti importanti.
I media statali anche prima descrivevano la situazione senza gli isterismi di Mosca. Ma gli ultimi fatti, evidentemente, hanno mostrato a Lukašenko che una volta “caduta l’Ucraina” non si potrà più parlare di indipendenza (neanche formale). O sei “con la Russia”, o con i carri armati russi in casa.
Il portale "Bielorussia oggi" (l'organo ufficiale dell'amministrazione del presidente) ricorda che nello stesso momento in cui avvenne la cessione della Crimea all'Ucraina, la Russia acquisì la Repubblica Sovietica Socialista Carelo-finnica. E ora in caso di una ridefinizione dei confini potrebbe riporsi la questione della Carelia.
Inoltre, una colonna sul sito ufficiale dell'agenzia stampa di Stato BelTA riporta un articolo intitolato "I russi vogliono la guerra?".
Vorrei far presente che la censura dei mass media statali è spietatissima. E materiali così non compaiono senza l’approvazione dall'alto. La televisione statale ha mandato in onda un documentario sulla rivolta antirussa del 1863. E questo a prescindere dal fatto che, secondo gli accordi, la Bielorussia è l'alleato più stretto della Federazione Russa. 


Sedakova: la lezione del Majdan per la Russia

Alla luce del Majdan la società russa (non dico il governo ma la società) offre uno spettacolo vergognoso. Sono parole dure ma non intendo sfumare. Naturalmente questa è la mia personale opinione e ben pochi in Russia saranno d’accordo con me. Molti - e molti di quelli che di solito si considerano intellettuali e «democratici» - saranno già offesi dal titolo della mia nota: la luce del Majdan! I roghi del Majdan, il fumo del Majdan, nel migliore dei casi il dramma del Majdan: questo dovrebbe andargli bene. Quello che so del Majdan lo so dai miei carissimi amici che hanno passato questi mesi sulla piazza. 
Innanzitutto è la luce del superamento della paura. 

Interrompere la catena della violenza si può

Per chi non lo sapesse, quest’uomo si chiama Michail Gavriljuk. È lui che in febbraio, in via Gruševskij è stato catturato dalle forze dell’ordine. L’hanno picchiato bestialmente, l’hanno spogliato a 20 gradi sottozero, e l’hanno tenuto per qualche ora sul furgone cellulare (senza abiti), umiliandolo e schernendolo… Ma quest’uomo ha sopportato tutto con onore, senza incattivirsi. Ora è in corso il processo contro i suoi aguzzini. Il personaggio principale è un sottufficiale, che rischia 8 anni di prigione. Uno potrebbe dire: giusta punizione per tanta brutalità. E cosa fa Michail Gavriljuk?! Scrive un esposto in cui rinuncia a ogni pretesa contro l’imputato. Perché non vuole togliere il padre a dei bambini, lasciandoli di fatto orfani per 8 anni. E che quanto è accaduto costituisce già una punizione per il sottufficiale.
È per questo che amo i miei compatrioti! Perché sanno mettersi al di sopra di tutto questo fango, di questa menzogna e di queste calunnie. Perché sanno tener duro nelle situazioni più difficili senza inasprirsi. Rimanere puri e onesti nello spirito.

Per questo la stimo ancor di più, Michail. Grazie perché esiste. Mi inchino alla sua umanità. 

Alesha Sigov, dissidente ucraino

giovedì 13 marzo 2014

La scure di Mosca sull'informazione

“Il problema non è che noi non avremo più un lavoro. Il problema è che voi non avrete più nulla da leggere”. E’ una lettera d’addio, quella firmata da decine di giornalisti e redattori di Lenta.ru, uno dei più autorevoli giornali online russi, una delle poche roccaforti di informazione senza bavagli rimaste. Fino a ieri, quando il proprietario della testata, l’oligarca Alexandr Mamut, ha licenziato la direttrice Galina Timchenko, in carica da 10 anni, per sostituirla con Alexei Goreslavsky, che negli ambienti dell’informazione moscoviti ha fama di essere un “PR del Cremlino”. 
Mentre i giornalisti di Lenta.ru stanno scrivendo lettere di dimissioni, i pochi colleghi indipendenti rimasti manifestano solidarietà e parlano di “pulizia definitiva dei media”. 

L'Europa tra crisi della democrazia e nostalgia dell'uomo forte

“Di tornare al comunismo non se ne parla proprio ma anche la democrazia è stata un grandissima delusione, ci vorrebbe un politico autoritario, forte, uno capace di raddrizzare le storture del sistema e di rimettere in riga tutti quelli che hanno travisato la libertà, ci vorrebbe il re” diceva pochi giorni fa una studentessa ungherese seduta in un caffè alla moda di Budapest, dove la disaffezione per Bruxelles sta spingendo il paese verso est. 
Non solo nell'est europeo ed asiatico, ma anche in Europa occidentale la nostalgia dell’uomo forte assume contorni nuovi e un po’ inquietanti. 

mercoledì 12 marzo 2014

La Crimea con gli occhi del testimone

Pubblichiamo ampi stralci di un'intervista a Timur Olevskij, inviato in Crimea di Telekanal Dozhd

Conduttore:
In Crimea in questo momento dei militari non meglio identificati, - Putin si rifiuta di ammettere che si tratti di militari russi, - tengono la penisola sotto controllo, insieme agli attivisti locali. Il loro compito sembra quello di sconfiggere la resistenza delle divisioni dell’esercito ucraino senza spargimenti di sangue. Almeno, si ha l’impressione che sia stato dato l’ordine di non aprire il fuoco. In questo modo Mosca potrà sempre parare gli argomenti degli oppositori della guerra, come ai tempi dell’Afghanistan e delle due guerre in Cecenia, quando non volevano mandare a morire i propri figli. Per ora in Crimea nessuno muore ammazzato. La popolazione sembra appoggiare tutta l’operazione, ma sentiamo in proposito il nostro inviato Timur Olevskij che è appena arrivato da Sebastopoli. Qual è l’impressione che hai avuto dal tuo viaggio in Crimea?
Olevskij:
L’impressione è che certamente la Crimea entrerebbe in Russia non solo senza spargimenti di sangue ma per molti aspetti con piacere. È molto importante capire che in Crimea non c’è una terza forza tanto forte da poter contrastare l’annessione alla Russia, e possiamo spiegare il perché. Dobbiamo capire in primo luogo che tipo di persone vogliono che la Crimea si unisca alla Russia. Per molti, quelli che spontaneamente vanno alle manifestazioni, non si tratta di entrare a far parte delle Federazione Russa ma di tornare all’Unione Sovietica. Questo è davvero molto importante, perché l’impressione che se ne ricava è che queste persone, specialmente le vecchie generazioni, abbiano vissuto per vent’anni come «congelati» in una loro visione del mondo e ora, appena ne è comparsa la possibilità, hanno tirato fuori le bandiere rosse. Etnicamente sono russi, alcuni ucraini, molti sono di famiglia mista, oppure alcuni sono arrivati da altre città dell’Unione Sovietica, hanno iniziato a vivere lì, poi il paese è crollato e ora c’è la possibilità di farlo tornare. Queste sono probabilmente le persone più attive, la parte più attiva e più esigua. Poi c’è una parte molto grande che vede i problemi, per cui è indifferente a cosa diventerà la Crimea, se ucraina o russa.  E come agisce la propaganda russa su di loro? Loro vedono un paese forte che porta l’ordine, e che non ha un governo debole che approva leggi incresciose sulla lingua russa. Vedono i canali televisivi russi. Vedono Sochi come un successo, come il trionfo della Russia. Vedono, anzitutto, un padrone di casa che è in grado di prendersi cura di loro. Questo è molto importante: cosa significa prendersi cura di loro? Significa che l’Ucraina non si è presa cura di loro, che per molti anni non si sono sentiti parte dell’Ucraina.
Conduttore:
Hanno paura del Majdan?
Olevskij:
Non hanno paura del Majdan, al contrario, sono convinti di poterlo vincere. Sono offesi dal Majdan. E’ peggio, e più interessante. Perché per loro il Majdan vuol dire anzitutto degli occidentalisti che li trattano con sufficienza; secondo, è una rivoluzione che è stata fatta senza di loro, cioè, non vi hanno partecipato; e terzo, che per il Majdan loro sono dei tituški, è come se avessero chiamato così tutto il popolo che vive nel sud del paese. Hanno inteso così guardando la televisione, parlando fra loro e con i loro soldati tornati feriti. Perché Janukovič ha preso i soldati, i berkut, dalla Crimea e li ha mandati al Majdan, lì sono stati feriti, uccisi e riportati a casa.
Conduttore:
Dopo il referendum ci sarà un’atmosfera di festa con fuochi d’artificio?
Olevskij:
Ora come ora no, e neanche dopo. Nessuna festa o fuoco d’artificio perché la gente è in uno stato di apatia; così come non c’è stata festa quando il Parlamento ha dichiarato indipendente la Crimea. A parte Sebastopoli, questa città vive ancora nel ricordo delle gesta eroiche dell’Armata sovietica, per loro il 9 maggio è una gioia. Invece a Simferopoli non c’è stato niente del genere. Penso che per molti sarà un sollievo, comunque finisca il referendum; ad esclusione di quella ragazzina quindicenne, Nastja, coi capelli tinti di rosa, che oggi da sola, piangendo, stava davanti a delle donne piuttosto fanatiche e mostrava il suo passaporto ucraino. Per gente come lei sarà una tragedia, ma per gli altri più che una festa sarà un fatto compiuto.
Conduttore:
Secondo un funzionario del Ministero degli Esteri estone, qualcuno pensa che i cecchini sul Majdan non li avesse mandati Janukovič ma qualcuno della nuova coalizione. E cita il capo del servizio medico del Majdan,Ol’ga Bogomolec, secondo cui i morti di entrambe le parti sarebbero stati uccisi dagli stessi cecchini. Nessuno sa dire chi fossero questi cecchini. Lei lo sa?
Olevskij:
Sul Majdan il 20 febbraio, quando ci sono stati gli scontri più cruenti, non c’era un solo tetto che non avesse dei cecchini, e io più o meno ho visto gli uomini che sparavano ai dimostranti: avevano la divisa del gruppo «Alfa» e dei Berkut. Altro è che oggi Kiev faccia un’inchiesta ufficiale, e penso che l’inchiesta dimostrerà se hanno sparato le stesse persone o no. Non voglio parlare a casaccio perché è difficile distinguere la divisa di un uomo su un tetto. Posso immaginare che anche il Majdan avesse i suoi cecchini. Ma dire che una terza forza sparava agli uni e agli altri… Se non avessi parlato personalmente con un agente dei Berkut, il quale mi ha detto chiaro e tondo che avevano dei cecchini, forse potrei credere alla terza forza.
Conduttore:
L’indipendenza dell’Abchasia e dell’Ossezia meridionale è stata riconosciuta da quattro Stati: Nicaragua, Venezuela, Nauru e Tuvalu. Quanti Stati riconosceranno l’annessione della Crimea alla Russia?
Olevskij:
È evidente che l’Abchasia e l’Ossezia saranno le prime. Quanto al Venezuela non saprei, dopo che è morto Chavez. Non molti paesi. Ma meno paesi riconosceranno l’indipendenza della Crimea meglio sarà per il Cremlino, perché l’Ucraina rimarrà impelagata in un solo ed unico problema che si chiama «questione territoriale irrisolta», il che significa che le sarà precluso l’ingresso nella UE e nella Nato. Allora, o qualcuno dice all’Ucraina che non deve avanzare pretese sulla Crimea, e quindi il Cremlino ha vinto; o le dice che le sue pretese sono giuste, ma il Cremlino vince lo stesso sul piano tattico, perché l’Ucraina non può entrare nella Nato.
Ho la sensazione che la Crimea sia una scatola di Pandora, che apre la porta a una grande guerra, e per Mosca vuol dire che quello che vanno ripetendo Polonia e Lituania da 20, e cioè che la Russia è un aggressore, si dimostra totalmente vero.
Conduttore:
La Costituzione ucraina non prevede che la Crimea possa decidere da sola se uscire o no dallo Stato nazionale. Nel giro di sei anni la Russia ha strappato tre territori a due Stati confinanti. Quando comincerà una nuova guerra, sia pure senza spari?
Olevskij:
La Crimea che entrerà a far parte della Federazione Russa potrebbe sbattere il naso su cose cui non era abituata finché stava in Ucraina, si tratta di una cultura politica molto diversa. E se tra un paio d’anni si accorgessero che i commissariati di polizia dove si tortura si sono trasferiti da loro, e magari che è arrivata un po’ di Cecenia, e un po’ di quell’altro islam? magari i separatisti locali, facendosi forti del fatto che la Crimea non aveva il diritto di fare il referendum, chiederanno che li riprendano indietro. E allora sarà tutta un’altra storia. 

lunedì 10 marzo 2014

Preparazione al referendum in Crimea

In Crimea in questi giorni sono comparsi dei manifesti riguardanti il referendum del 16 marzo per l'annessione alla Russia. Questo recita: "Il 16 marzo noi scegliamo" Nazisti o russi? 

Dal profilo Twitter di Kevin Rothrock, analista di politica russa

Padre R. Scalfi: l'unica strada è il dialogo

Padre Romano Scalfi (foto a fianco), 91 anni, ha fondato nel 1957 Russia Cristiana per far conoscere in Occidente le ricchezze della tradizione ortodossa russa e ha dedicato la vita «alla rievangelizzazione dell’Est, perché la fede rinascesse nel dominio del socialismo reale».
Ora guarda «con interesse alla rivolta di piazza Maidan, anche se contiene gruppi estremisti», e spera che Kiev «riesca a trovare un accordo per mettersi in relazione sia con l’Occidente sia con Mosca».
"Mi sembra che sia una protesta che non va soprattutto “contro”, dice Padre Scalfi, ma che chiede di poter costruire nuovi spazi di libertà e socialità. La rivolta non è nata né da una mentalità russofila né russofobica ma dal desiderio degli ucraini di essere riconosciuti come persone e come società civile". 

venerdì 7 marzo 2014

Crimea. Il virus in fase attiva

Una fortezza rosa pallido, che un tempo era stata la veranda di un caffè sovietico. Il mio amico cerca di inquadrare “gli omini verdi” che vi si nascondono dietro, più noti tra la gente come “i gentili uomini armati”. Sono gli stessi ragazzi in uniforme russa con i mitra che sono comparsi improvvisamente in Crimea il 28 febbraio.
Si avvicina correndo una giovane donna. “Perché li fotografate? Cosa siete, allo zoo?!” La voce le si strozza e tremola. Le chiedo: “È nervosa?” “Sì, sono nervosa!” “Perché? Li conosce questi ragazzi?”. Lei dice di no, ficca la mano nella borsetta, ne estrae un cellulare e fotografa le nostre facce. Adesso qui molti fanno così.
“Perché li difende?” chiedo con interesse.
“Loro difendono me, e io difendo loro!” butta lì lei, e corre nella banca lì accanto.

Ci guardiamo stupiti: che cos’è avvenuto?

Forse è una reazione tardiva al modo in cui la gente si faceva fotografare sullo sfondo dei Berkut in via Bankova? Forse la donna pensava che la cosa li umiliasse...
Sereža è arrivato oggi per la prima volta in Crimea e si rompe la testa. Racconta di aver visto tra quelli dell’”autodifesa” un ragazzo con la bandiera ucraina. Ma gli hanno spiegato che prendevano in giro gli attivisti “pro-Ucraina”.
Ogni incontro tra i due campi fa scoppiare incidenti e rischia di degenerare in rissa. Tutti quelli che stanno dalla parte ucraina, a detta degli altri, sono degli “occidentalisti”, “partigiani di Bandera” e “majdanutye”. Sul Maidan li pagavano, e ora sono venuti qui per soldi e per sconquassare  la pacifica terra di Crimea.
Risposte come “Ma io sono di qui!” non vengono prese in considerazione, chiunque non abbia il nastrino di San Giorgio è un traditore. È così che dicono: traditori, fuori dai piedi.

Allo stesso tempo gli abitanti della Crimea non hanno un’unica posizione riguardo agli eventi. E alcuni cambiano posizione ogni cinque minuti, a seconda dell’interlocutore.
La maggioranza è convinta che Janukovič abbia rubato come nessun altro governante ucraino; ma allo stesso tempo lo considerano il legittimo presidente e accusano Jacenjuk di aver preso illegalmente il potere con qualche altro “fascista radicale”. Sono d’accordo sul fatto che anche il potere in Crimea è stato preso illegalmente, ma “siete voi che ci avete dato l’esempio, e adesso cavatevela un po’”.
Un uomo massiccio in un meeting a Jalta si è messo a discutere con gli attivisti. Alla domanda se ritenesse che la Crimea debba rimanere parte dell’Ucraina ha detto: “Coosa? Cosa ha detto? Dentro questo progetto?”.
Evidentemente non considera l’Ucraina uno Stato.
Il calore della discussione era talmente alto e il livello talmente basso che era semplicemente impossibile capire cosa vogliono esattamente gli abitanti della Crimea. È un miscuglio di grano saraceno, semola e avena, irrorato di sciroppo o forse d’acqua sporca del vaso da fiori.
Potrà il referendum in Crimea rimettere le cose a posto?
E sarà in grado il nuovo potere di garantirne la legalità?

Ho letto i commenti dei lettori: alcuni pensano che reportage come i miei portino il paese alla divisione. Ho riflettuto su cosa davvero possa aver provocato tutto questo caos. È stato il cambio al vertice e l’attivizzazione del partito filoputiniano “Unità russa” di Aksenov? O è stata la prima molotov lanciata a un Berkut?
Gli abitanti della Crimea non recepiscono la retorica radicale, sono abituati alla tranquillità e al benessere. Alcuni sono ancora convinti che la stagione turistica comincerà e che tutto tornerà a posto.
È evidente che qui è in corso la fase acuta di una grave malattia. Il virus era da tempo sopito nell’organismo della Crimea, e ora si è attivato. Analgesici e trattamenti sintomatici non saranno d’aiuto. Sarà necessaria una complessa e dolorosa operazione, con anestetici e un lungo periodo di riabilitazione.
Ma per capire come guarire bisognerà calmarsi e sbrogliare questo groviglio strano e terribile.

Ekaterina Sergackova
Articolo originale su http://www.pravda.com.ua/

Come un segno in mezzo agli scontri

La notte dal 20 al 21 gennaio 2014, sulla via Gruševskij, è salita enormemente la tensione tra le forze dell’ordine e i gruppi di destra che avevano stabilito lì le loro postazioni. È stato allora che tre monaci ortodossi, Melchisedek, Efrem e Gavriil si sono sentiti chiamati a fare qualcosa per evitare il peggio. Sono rimasti fermi tra gli schieramenti per molte ore. Ecco l’intervista che hanno rilasciato. 

D. Che cosa vi ha spinto a scendere in strada quel giorno?
Melchisedek (Gordienko): Tempo fa avevo visto una foto della Serbia, di un sacerdote che si era messo in mezzo tra la polizia e i dimostranti. Mi era parso così bello: un uomo solo col crocifisso in mano che ferma mille uomini da una parte e mille dall’altra! Il nostro monastero della Decima si trova molto vicino all’epicentro degli avvenimenti, anche di notte nella chiesa si sentivano gli scoppi dei petardi, le grida degli altoparlanti e il boato della folla. Quando ho saputo che in via Gruševskij le esplosioni strappavano mani e piedi, e occhi alla gente, ho capito che dovevo essere lì per non dovermi poi vergognare di me stesso. Mi è venuto in mente che in Georgia un sacerdote era andato in strada con uno sgabello in mano ad affrontare una gay-parade. Aveva visto questa vergogna e non si era nascosto restando tranquillo in chiesa, ma era venuto fuori per mostrare la sua posizione ai laici e incoraggiarli col proprio esempio.

D. E come hanno reagito i dimostranti nel veder comparire degli uomini in abito monastico?
Melchisedek: Ci rendevamo conto che ormai era impossibile fermare i dimostranti e la polizia, per questo eravamo pronti ad affrontare le pallottole e i sampietrini. Ma quando i dimostranti si sono visti davanti dei sacerdoti che si interponevano tra loro e le forze dell’ordine, sono rimasti come di sale. Si sono fermati quasi subito. È subentrato un minuto di grazia e di ragione…

D. Vi rendevate conto di rischiare la vita? Accanto a voi esplodevano le molotov e le granate…
Gavriil (Kajrasov): Mentre stavamo in piedi tra la folla dei dimostranti e le forze dell’ordine che si coprivano con gli scudi, tutto attorno scoppiavano le granate ed esplodevano le molotov; a cinque metri da me è caduta una bottiglia incendiaria ma non è esplosa. Allora ho sentito che il Signore ci proteggeva…
Ma poi hanno incominciato a usarci come uno scudo umano: i dimostranti si avvicinavano e da dietro di noi lanciavano molotov e sampietrini. In quel momento ho sentito un’amarezza infinita per quella gente che nonostante gli appelli alla pace bramava ugualmente il sangue. Ho sentito che i demoni dilaniano l’anima dell’uomo, scatenando la rabbia e offuscando il buon senso.

D. Qualcuno tende a sottolineare la brutalità delle forze dell’ordine, qualcuno accusa di tutto i dimostranti. Qual è la vostra opinione come testimoni oculari?
Gavriil: Nel momento in cui le passioni erano alla massima tensione, dalla folla dei dimostranti è venuto fuori un uomo. Nonostante il gelo era a torso nudo. L’uomo gridava alla folla e ai poliziotti di fermarsi, poi è caduto in ginocchio e si è messo a pregare con forza. Ma i poliziotti sono accorsi, l’hanno afferrato per i piedi e lo hanno trascinato alle macchine… Ho cercato di fermarli ma invano. Mi dispiaceva tanto per lui, mi sembrava che fosse stato toccato dalla grazia del Signore. Qui non si può scegliere nessuna delle parti. Abbiamo visto la violenza da entrambi i lati: tutti e due erano in qualche misura malati.

D. In quel momento al centro della città si sono radunate tutte le confessioni religiose. Eravate ostili tra voi?
Melchisedek: Nelle ore in cui siamo stati lì, sul Majdan è confluita una quantità innumerevole di confessioni diverse: greco-cattolici, preti del Patriarcato di Kiev, cattolici latini e, cosa incredibile, dei buddisti! A me si è avvicinato un ragazzo che si è presentato come Sereža, e mi ha chiesto se accettavamo gli eretici. «In che senso eretici?» gli ho chiesto. «Sono battista» mi ha sorriso. «Certo che ti prendiamo, vieni qui!». Eravamo all’estremo confine del mondo, come potevamo pensare di «accettare o non accettare»…
Gavriil: Da me è venuto persino un ebreo con la kippah e si è messo a pregare sottovoce, al mio fianco. Ho teso l’orecchio e sono rimasto strabiliato: recitava con noi una preghiera ortodossa! 

giovedì 6 marzo 2014

Ritorno al passato

Vitalij Portnikov, giornalista di Kiev, scrive: 

…Può succedere che in un immenso numero di persone ci siano milioni di nemici e alcuni singoli amici? Sì.
Quando si concluse l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia tutti capirono perfettamente che quei pochi che si erano presentati sulla piazza Rossa in segno di protesta contro l’invasione erano gli eroi della Russia, mentre i milioni di abitanti dell’Unione Sovietica erano i nemici, di se stessi e del mondo. 
Oggi la Russia ricrea questo scenario. Io non so cosa si debba fare perché non si ripeta. Noi sappiamo che la Russia sarà un paese isolato sul piano politico, economico, sociale, qualsiasi cosa ormai succeda. Si è esclusa da sola dal novero dei paesi civili.
Le conseguenze economiche saranno tremende, le conseguenze politiche saranno lo sfacelo, quelle morali le abbiamo già sotto gli occhi. È una catastrofe storica. 

mercoledì 5 marzo 2014

Un problema di libertà (per tutti)

In queste ore siamo tutti qui, a Mosca, con il fiato sospeso a seguire la ridda di tragiche notizie - spesso contraddittorie e incontrollabili - che si susseguono dall'Ucraina. 
L'Ucraina è sulle bocche di tutto il mondo, e i giudizi che si leggono sono i più svariati, ma comunque si evolvano le cose, e per numerosi e complessi che siano i fattori in gioco, ci sono almeno tre elementi che fanno sì che questo dramma superi di gran lunga le dimensioni di un conflitto locale dove in gioco sono interessi economici e politici, rancori etnici e lotte ideologiche, e si trasformi invece in una pagina esemplare di civiltà da cui tutti possiamo/dobbiamo imparare. 

Testimonianza dalla Crimea di un sacerdote ortodosso

L’archimandrita Gavriil (Anisimov), monaco del monastero di San Paisij, ha raccontato:

Dopo averla chiamata per chiederle la benedizione, siamo andati in cinque a Balaklava, gli altri sono rimasti a celebrare. Siamo arrivati alle 16.15, siamo subito passati tra i militari russi e ci siamo messi tra loro e i cancelli della nostra unità militare ucraina. Abbiamo cominciato la preghiera per la rappacificazione dei belligeranti. I militari scioccati non sapevano cosa fare di noi. È arrivato un uomo in borghese e ci ha chiesto di allontanarci dai cancelli della zona militare.Gli ho detto che non potevamo andarcene, che la nostra coscienza cristiana ci imponeva di stare lì perché non venisse versato il sangue fraterno e che avremmo pregato in quel posto.
Dopo circa un’ora i militari hanno cominciato a muoversi, hanno acceso i motori degli autoblindo, hanno cominciato a stringere il cerchio verso i cancelli, proprio lì dove eravamo noi. Ho alzato la croce sopra la testa e abbiamo cominciato a cantare forte l’inno alla Vergine “Suprema Condottiera». Poi ho cominciato a parlare ad alta voce coi militari: davvero andreste contro a dei fratelli nella fede e nel battesimo? fratelli, fermatevi, e altre cose nello stesso spirito.
Le dirò onestamente che ho avuto davvero paura; quando ti puntano addosso la bocca di un mitragliatore e si sente il rombo dell’autoblindo, è terribile. Si sono fermati, per qualche momento sono rimasti proprio attaccati a noi, abbiamo cominciato a cantare «Vergine Madre», e dopo un po’ hanno cominciato a ritirarsi. Alcuni di quelli che stavano di fronte a noi si sono messi a gridare ai soldati di fermarsi. Poi sono arrivati dei filorussi con degli striscioni con degli slogan sull’annessione alla Russia. Siamo rimasti lì in piedi fino alle 21 passate. Durante questo tempo gente in borghese e militari ci passavano accanto, noi abbiamo recitato ininterrottamente la preghiera di Gesù.

Le truppe russe hanno cominciato a raccogliersi, i mezzi ad andarsene pian piano e i soldati sono saliti in macchina e se ne sono andati. Noi e la gente abbiamo recitato un ufficio di ringraziamento e ce ne siamo andati. La gente ci ringraziava e piangeva. Ci hanno fotografati dei giornalisti stranieri. Mi hanno inviato qualche link del «New York Times», del giornale inglese «Telegraph» e di un giornale francese. Oggi mi hanno chiamato degli amici da Parigi e mi hanno detto che mi hanno visto questa mattina fotografato in prima pagina. Ecco come è stato ieri. Oggi sono andato a vedere, e non c’erano più militari. Grazie per il suo sostegno!

Per l'articolo in lingua originale, clicca qui

Natal'ja Georgievna, la Nonna-patria

Pochi dimostranti contro la guerra a Mosca, domenica 1500 persone sono scese in piazza. Molta polizia e molti fermati. Ecco il commento di una giornalista sul suo blog.
Natal'ja Georgievna
Ieri in piazza Manežnaja ho conosciuto alcune nonnine. Veramente, fra i trecento moscoviti usciti a protestare contro la guerra in Ucraina, la maggior parte erano giovani (quasi adolescenti) e nonnine. Ce n'era una con le stampelle, che pare partecipi a tutte le manifestazioni democratiche. Un'altra, col bastone, avanzava zoppicando tra i ranghi delle forze speciali e piangeva al telefono: «Oggi è la domenica del Perdono! Del perdono… E hanno preso mio figlio!».
Le nonnine, per nulla spaventate, non temevano di rilasciare un'intervista al canale NTV; gli altri scansavano le telecamere più velocemente di quanto avrebbero scansato la polizia. Gridavano «Vergogna!» quando la vittima di turno veniva trascinata sulla camionetta della polizia, passando accanto a loro.
Tutto sommato era uno spettacolo abituale. Degli agenti abbastanza gentili coi giubbotti antiproiettile che ogni tanto scambiavano battute sulla situazione politica, e ogni tanto spingevano la gente verso la metropolitana. I giornalisti erano più o meno quanti i dimostranti; si lanciavano come un branco a riprendere qualsiasi cartello e qualsiasi corpo trascinato via, schiacciandosi l’un l’altro. Talvolta sul luogo di una battaglia mancata capitavano per caso una famiglia con bambini, che non capiva nulla.
Forse non erano fermezza e dignità che si respiravano, ma smarrimento e orrore perché sembrava tutto un po’ assurdo, ma bisognava lo stesso scendere in piazza. Tutto diverso da com’era stato in piazza Bolotnaja, dove tutto era allegro e creativo, i cartelli erano un fiorire di citazioni e il futuro splendeva a tinte vivaci.
Un po’ di lato, vicino a una cancellata, c’era un’altra donna anziana. Molto anziana, vestita molto poveramente. Con il volto bello e afflitto, reggeva un cartello che recitava «No all’intervento in Crimea, non scatenate una nuova guerra!», guardava dritto davanti a sé, ed effettivamente era del tutto isolata. Non le si avvicinava nessuno, la polizia non cercava di portarla via. Proprio per questo l’aveva scelta come vittima un omone robusto, un provocatore in borghese.
-Nonna, parla ucraino?
-No.
-Allora non deve stare qua. Mykola, sai come chiamano i russi il vostro grasso? Cellulite.
Lei non si era mossa, stava dritta in piedi e guardava. L’omone le ha ripetuto la barzelletta. Mi sono avvicinata e ho detto:
- Lasci stare la nonna.
Lui ha ripetuto a me la battuta. Si vede che in ufficio gli avevano consegnato una sola munizione.
- Lasci stare la nonna.
- Mykola, lo sai…
Sentivo che l’avrei colpito. Ma dei ragazzi lì vicino si sono accorti della situazione, e hanno gentilmente portato via il tipo. E la nonnina ha detto:
- Non sono mai stata in una camionetta della polizia. Se stai buono e tranquillo non ti prendono. E io sto tranquilla. Il suo sguardo è tornato a fissare lontano.
Lei non salverà niente, non cambierà niente. Mia figlia non troverà i sassi col buco sulla spiaggia di Koktebel’. Il rublo è già crollato, le spiagge di Antalia ci mostrano i denti, su internet la guerra civile va molto più veloce dell’intervento in Crimea.  Invece che centinaia di migliaia, sono scesi in piazza un centinaio di moscoviti. Ma la nonna con l’indice del guanto lacero, rimane lì, tiene il cartello e guarda lontano. Nel punto dove sfreccia una colonna di auto tedesche e giapponesi con degli striscioni: «Non abbandoneremo i nostri!».
Ho pensato che la madre-patria non somiglia a un’immensa donna di pietra. Qui bisogna scegliere: o la madre, o la donna di pietra. Io scelgo la nonna-patria. A proposito, la nonnina si chiama Natal’ja Georgievna. Ha detto che il suo problema principale non è la pensione magra, ma il fatto che non c’è libertà. 
Ol’ga Bakušinskaja
Per l'articolo in lingua originale, clicca qui

martedì 4 marzo 2014

Zubov: tutto questo c'è già stato

L’articolo che segue è stato scritto da Andrej Zubov, politologo, storico, studioso di religioni e autore di una delle migliori storie della Russia sovietica in circolazione, Storia della Russia del XX secolo, ispirato dallo stesso Solženicyn. L’articolo è stato pubblicato il 1° marzo sul quotidiano «vedomosti.ru». 


Amici, siamo alle soglie. Non dell’annessione di un nuovo soggetto della Federazione Russa. Ma della debacle del sistema di accordi internazionali, del caos economico e della dittatura politica. Siamo alle soglie della guerra con il popolo ucraino, il più prossimo e più caro, di un brusco peggioramento dei rapporti con l’Europa e l’America; alle soglie della guerra fredda, e magari anche di quella vera. Tutto questo si è già visto…

Amici, la storia si ripete. In Crimea vivono effettivamente dei russi. Ma chi mai li ha oppressi, erano forse cittadini di serie B, senza diritto alla propria lingua, alla propria fede ortodossa? Da chi debbono difenderli i soldati dell’esercito russo? Chi li ha attaccati? Inviare le forze armate di un paese straniero sul territorio di uno Stato sovrano senza il suo consenso è un atto di aggressione. Occupare il parlamento per mezzo di personaggi in uniforme senza segni di riconoscimento è un arbitrio. Che il parlamento della Crimea voti una qualsiasi risoluzione in queste condizioni è una farsa. Prima hanno occupato il parlamento, hanno deposto il primo ministro sostituendolo con un altro filorusso, e poi il nuovo premier ha chiesto aiuto alla Russia quando gli aiuti erano già lì e da ventiquattrore controllavano la penisola. Tutto questo assomiglia come due gocce d’acqua all’Anschluss del 1938. Anche il referendum-plebiscito tenuto un mese dopo sotto gli auspici di amichevoli baionette. Allora fu il 10 aprile, ora sarà il 30 marzo. 

Ha considerato, il nostro governo, tutti i rischi di questa incredibile avventura? Sono certo di no. Come non lo fece Adolf Hitler a suo tempo. Se lo avesse fatto, non si sarebbe aggirato nel suo bunker, nell’aprile del 1945, sotto le bombe sovietiche, e non avrebbe ingoiato la fiala di veleno.
E se l’Occidente non si comporterà come fecero Chamberlain e Daladier nel 1938, ma porrà l’embargo totale alla vendita dei beni energetici e congelerà le proprietà russe nelle sue banche? L’economia russa, che già sta agonizzando, crollerebbe in tre mesi. E comincerebbero dei disordini qui da noi, che al confronto quelli del Majdan sembreranno il paradiso terrestre.
Se poi i tatari della Crimea, che sono categoricamente contro l’annessione alla Russia, che ricordano bene cos’ha fatto a loro il regime nel 1944 [deportazione in massa ndt] e come non li ha lasciati ritornare fino al 1988, se, dico, i tatari della Crimea chiameranno a difesa dei loro diritti la Turchia che ha la stessa fede e lo stesso sangue? Perché la Turchia non è chissà dove ma sull’altra sponda del Mar Nero. E la Crimea è stata turca ben più a lungo che russa, per almeno quattro secoli direi. E i turchi non sono i signori Chamberlain e Daladier: nel 1974, per difendere i loro consanguinei, hanno occupato il 40% di Cipro e, ignorando tutte le proteste, la tengono ancora col nome di Repubblica turca di Cipro del nord, che nessuno riconosce tranne loro. Forse a qualcuno piacerebbe avere una Repubblica turca della Crimea del sud? Se poi qualche testa calda tra i tatari impugnasse le armi, i radicali islamici di tutto il mondo si unirebbero a loro con gioia, soprattutto quelli del Caucaso settentrionale e della Regione del Volga. Non finiremmo per portare la tempesta dalle spiagge distrutte della Crimea dentro casa nostra? Non ci bastano gli attentati terroristici che già abbiamo?
E infine, una volta ottenuta la Crimea straziata dai dissidi interni, noi perderemmo per sempre il popolo dell’Ucraina: gli ucraini non perdoneranno mai ai russi questo tradimento. Pensate forse che non succederà, che il tempo medica le ferite? Non sperateci, cari sciovinisti russi. Alla fine del XIX secolo serbi e croati si consideravano un solo popolo diviso soltanto da un confine, dalla confessione religiosa e dall’alfabeto. Volevano l’unità: quanti bei libri sono stati scritti allora, bei libri intelligenti. Ed oggi non ci sono, forse, due popoli che si odiano come i serbi e i croati. Quanto sangue è stato versato tra di loro, e tutto per qualche fazzoletto di terra, per qualche cittadina e valle dove avrebbero potuto vivere insieme, agiatamente e contenti. Avrebbero potuto, ma non sono stati capaci. L’avidità di arraffare la terra del fratello ha trasformato i fratelli in nemici. E nella vita di tutti i giorni non è forse lo stesso? Vale la pena perdere per sempre un popolo fratello in nome di bramosie irreali? Per non dire che diventerebbe inevitabile lo scisma della Chiesa russa. La sua metà ucraina si staccherebbe per sempre da quella moscovita.
Ma il successo del Cremlino si trasformerebbe in una disfatta ancora peggiore in caso di annessione della Crimea. Se la cosa andasse facilmente in porto, un domani farebbero appello alla Russia anche le regioni russofone del Kazachstan, e poi, a ben vedere, ci sono anche l’Ossezia del sud, l’Abchazia, e la Kirgizija settentrionale. Per Hitler dopo l’Austria ci sono stati i Sudeti, dopo i Sudeti il territorio di Memel, dopo Memel la Polonia, dopo la Polonia la Francia, dopo la Francia la Russia. Tutto era cominciato da così poco…

Amici, dobbiamo tornare in noi stessi e fermarci. I nostri politici stanno trascinando il nostro popolo in una spaventosa avventura. L’esperienza storica ci dice che niente si risolve in questo modo. Non dobbiamo comportarci come fecero a suo tempo i tedeschi seguendo le promesse di Gobbels e Hitler. in nome della pace nel nostro paese, in nome della sua autentica rinascita, in nome della pace e dell’amicizia reale nei territori della Russia storica, oggi suddivisi in molti Stati, diciamo “no” a questa aggressione pazzesca e, soprattutto, completamente inutile.
Abbiamo perduto tante vite umane nel XX secolo, che il nostro unico vero principio ispiratore dev’essere la conservazione del popolo, come aveva proclamato il grande Solženicyn. Conservare il popolo e non riprendersi le terre. Le terre si riprendono solo a prezzo di sangue e lacrime.
Ne abbiamo abbastanza di sangue e lacrime!

da Vedomosti.ru  1 marzo 2014

lunedì 3 marzo 2014

Il Majdan, rivoluzione dell'umano


In Ucraina è successa una rivoluzione, senza dubbio, di cui si contano con dolore i morti: 77 tra i dimostranti, 11 tra le forze dell'ordine; oltre a centinaia di feriti. Eppure della fenomenologia rivoluzionaria qui mancano alcuni elementi essenziali. 
A Kiev, piuttosto, sono emerse continuamente, accanto ai manganelli, agli spari, ai lanci di sampietrini e di bombe molotov, un insolito autocontrollo, misericordia, assenza di odio cieco, un'incredibile civiltà che di momento in momento induceva qualcuno a interporsi tra gli schieramenti per tamponare la violenza. 
Come descrive il prof. Filonenko, "sicuramente è stata una rivoluzione, ma una rivoluzione assolutamente diversa da quella d'Ottobre, direi da qualsiasi altra rivoluzione, per questo è molto importante capire cosa effettivamente sia avvenuto". 
Leggi l'intervista a Filonenko e ad A. Sigov

domenica 2 marzo 2014

Appello ai cittadini russi

Stimati cittadini russi,

se vi rimane un briciolo d’amore per noi ucraini, smettetela, anche nelle conversazioni private, di chiamarci «fascisti», «partigiani di Bandera», «nazisti» e «nazionalsocialisti».
Queste parole uccidono!
Ricordate le parole del Salvatore: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà destinato al fuoco della Geenna» (Mt 5,21-22)!
 
Sapete cosa mi ha colpito più di tutto ieri, quando guardavo il Maidan dall’alto del palco su cui c’erano la gente e le bare? Che all’angolo tra via Institutskaja e il Krescatik, proprio nel punto dove ci sono stati gli scontri più cruenti, per tutta l’altezza del palazzo corre la reclame della Cassa di Risparmio Russa, e nell’edificio si trova una filiale della banca che aveva le vetrine perfettamente intatte, nonostante siano attaccate alle barricate…
Qui non si combatte contro i russi, i russofoni o la Chiesa russa canonica, come scrivono i media da voi. Comunque non intendo metterli in discussione.
Semplicemente chiedo a tutti: se siamo tutti membri della stessa Chiesa ortodossa, se considerate Kiev «la madre delle città russe», non gettate benzina sul fuoco ma pregate per noi, e ascoltateci.

Padre Georgij Kovalenko, capo Ufficio stampa della Chiesa ortodossa ucraina Patriarcato di Mosca.

sabato 1 marzo 2014

Putin=Brežnev

Andrej Kolesnikov*

Quando paragonavano l’epoca di Putin con quella della stagnazione, la cosa sembrava un po’ stiracchiata. Ed effettivamente, l’epoca del ristagno deve ancora venire, adesso arriva l’epoca delle gelate come nel 1968, quando fu presa la decisione di mandare le truppe in Cecoslovacchia. Ma ogni epoca di ristagno finisce con una rivoluzione, più o meno “di velluto”. E come torna in fretta la retorica sovietica, fino al «contingente limitato di truppe». A quanto pare, il nostro governo neanche nel vocabolario sa distaccarsi dallo stile sovietico.
C’è un’altra allusione ancora che viene in mente, anche per via alfabetica: Afghanistan.
E c’è sempre un nemico esterno pronto alla bisogna: gli Stati Uniti. E i media di Stato cercano argomenti non sappiamo se più esotici o infami.

Ci sono due punti chiave.
Il primo. Le capacità razionali del presidente russo sono state sopravvalutate. È evidente che in un sistema politico personalistico il segnale lo dà una persona. E sappiamo quale. La decisione di mandare le truppe è assolutamente irrazionale. Non basterebbe neanche l’emozione a spiegarla. Si tratta di non essere all’altezza. È una sfida – nel senso letterale del termine – al mondo. È un modo per isolarsi dal mondo. Vuol dire bruciare ogni e qualsiasi ponte.
Le Olimpiadi sono finite e tutto è permesso. Anche se, naturalmente, non sono loro la causa. Putin ha preparato questa decisione coerentemente. Dal maggio 2012. O meglio, dal dicembre 2011. O meglio ancora dall’estate 1999, quando è salito al potere.

Secondo punto.
Questa decisione assurda, pericolosa, che offende il comune buon senso e il diritto internazionale, è stata presa proprio perché nel nostro paese non c’è una democrazia normale, un’opposizione normale, un parlamento normale. Non uno – dico non uno! – dei membri dell’élite ha osato votare contro. Qualcuno vigliaccamente. Altri per sincera convinzione. Nell’un caso e nell’altro i membri dell’élite sono stati condizionati dalla paura. La paura davanti a Putin. Paura di giocarsi le proprietà (a ben vedere, come fare adesso a conservare l’appartamento a Miami, proprio nella tana del probabile nemico, che prima sembrava così improbabile). L’entusiasmo di Gennadij Zjuganov era indescrivibile. Così abbiamo avuto la conferma che l’opposizione parlamentare è del tutto decorativa.

Nell’agosto del 1968 sette coraggiosi andarono sulla Piazza Rossa perché si vergognavano del regime. E dato che il regime si identificava col paese, questo sparuto gruppo di persone brucianti di vergogna per il governo, uscirono fuori per mostrare che c’era qualcuno che la pensava diverso dal Politburo. Oggi di gente che si vergogna del governo ce n’è molta di più. Qui sta la differenza principale col 1968. Lo Stato ha rotto definitivamente col paese. Il regime, impazzito per i dolori fantasma provocati dall’impero, immaginandosi che l’impero si possa ricostituire, convinto di esprimere l’opinione della maggioranza e di potersene fregare della classe colta urbana, ha compiuto un passo suicida.
Non sarà l’inizio di un nuovo impero. Sarà l’inizio della fine. La stessa fine che ci hanno fatto vedere a Kiev, e di cui Vasilij Rozanov aveva scritto un tempo: “La Rus’ se n’è andata in tre giorni”.

* Da Novaja Gazeta, 1 marzo 2014